La birra nel Medioevo

La birra, così come il vino, era una delle bevande più diffuse ed utilizzate durante tutto il Medioevo. Infatti, veniva consumata da tutte le classi sociali del nord e dell'est Europa; si preferiva la birra al vino, soltanto per una questione legata al clima sfavorevole che non consentiva la coltivazione di vigneti, i quali, di contro, avevano enorme diffusione nel sud del continente. Qui, la birra veniva consumata dai ceti più popolari, in quanto non si poteva disporre o essere sempre sicuri riguardo la purezza dell'acqua, motivo per il quale si prediligevano bevande per la cui produzione fosse prevista la bollitura dell'acqua.
Nel Nord Europa invece, la birra era parte integrante dell'alimentazione e se ne consumavano anche trecento litri pro-capite annui durante il Basso Medioevo, periodo in cui era servita ad ogni pasto. 

Miniatura che ritrae un monaco che beve e versa della birra
Ed è proprio dopo l'anno Mille che la produzione della birra, precedentemente appannaggio delle donne, diventa un'attività quasi esclusivamente maschile. Questo perché nei monasteri, soprattutto in quelli olandesi e belga, i monaci, per mantenere vivo il legame tra birra e religione (si narra che le prime donne babilonesi a produrre birra, fossero delle sacerdotesse del tempio), cominciarono a praticare l'arte della birrificazione. Col tempo però, la produzione iniziò a superare il fabbisogno (seppur elevato, basti pensare che era consentito bere fino a 5 litri al giorno di birra) giornaliero, così i monaci cominciarono a vendere l'eccesso.
Con la crescita esponenziale del commercio della birra, i regnanti capirono che non potevano lasciarsi sfuggire una grande occasione di guadagno, per cui fecero di tutto per impedire ai monaci, che non pagavano le tasse, di operare in un campo così redditizio.

Un monaco alle prese con la produzione della birra
Per ciò che concerne il processo vero e proprio di produzione della preziosa bevanda,  bisogna dire che la pratica dell'aromatizzazione mediante l'uso del luppolo, fosse già conosciuta nel IX secolo, ma che fu adottata con costanza, soltanto alcuni secoli dopo, a causa delle difficoltà nello stabilire le giuste proporzioni tra i vari ingredienti. Prima dell'avvento del luppolo quindi, si adoperava la "gruit", una miscela di varie spezie e non solo; infatti, vi si potevano trovare anche bacche di ginepro, prugnolo, corteccia di quercia, assenzio, seme di cumino selvatico, anice, genziana e rosmarino. Il risultato era che la birra priva di luppolo, sostanzialmente dovesse essere bevuta e non potesse essere esportata. L'unica alternativa era rappresentata dall'aumentarne il contenuto alcolico, cosa che però comportava anche un aumento non trascurabile dei costi.

Il luppolo, la preziosa pianta-fiore che consentì la produzione su larga scala e l'esportazione della birra
Ed è per queste ragioni che, in Germania, a partire dal XIII secolo, si cominciò a perfezionare il processo di produzione di birra luppolata. Il prodotto finale, a quel punto, aveva un gusto e dei valori nutritivi migliori, oltre al fatto che potesse essere esportato, anche su vasta scala, grazie all'utilizzo di botti di grandi dimensioni. Questa fu il motivo per cui le monarchie europee capirono che questo giro d'affari non potesse essere trascurato.
Nei comuni tedeschi inoltre, si migliorò anche la gestione e la professionalità degli uomini che gestivano il processo produttivo.
Questo modello vincente si diffuse ben presto in Olanda e nelle Fiandre, fino a raggiungere la Gran Bretagna nel XV secolo. Furono proprio gli inglesi ad introdurre delle leggi che imponevano l'uso del luppolo nella birrificazione, leggi che furono poi adottate anche da altri paesi. Questi provvedimenti legislativi, in Inghilterra, portarono a sollevazioni contadine, in cui si sosteneva che il luppolo rovinasse il gusto della birra. Ovviamente, tutte le rivolte furono brutalmente represse nel sangue.

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